GENOVA. 14 MAG. Probabilmente, per un comune sentire, l’argomento in trattazione costituisce sorpresa, un aspetto irriconosciuto, immeritevole di attenzione.
Esso, tuttavia, non implica intento sacrilego; né tenta in alcun modo di prevaricare una inveterata e consolidata “prassi liturgica”.
Si limita semplicemente a denotare un incontrovertibile fatto: il nome di battesimo costituisce, in ordine di tempo, la prima di una lunga serie di “imposizioni domestiche” che, dalla nascita, affiancano l’intero corso della vita dell’individuo.
Un riflesso di coercizione familiare, più o meno percepito, nel preordinare la sorte del nascituro: quantomeno se questi, un giorno, riponesse nella scelta del proprio nome il proprio destino.
Pur tuttavia, è indubitabile l’evidente perpetuarsi di tale ingerenza parentale che rivela ab ovo una ostacolata applicazione del concetto di libertà ed una implacabile intrusività sull’altrui volontà.
La questione in sé pare irrilevante se non irriguardosa, nondimeno irradia transitivamente tutti i “riti di passaggio”, replicando orme già tracciate secondo il sommo principio che l’adulto é sempre in grado di conoscere il “bene” altrui, seppur, nei fatti, non l’abbia esaudito per sé.
Sintomatica le modalità di intendere i legami familiari; di seguitare itinerari mediante schemi consuetudinari attinti da un “senso comune” che di rado fa rima con “buon senso”.
A mò di conclusione, per coerente sintesi, occhieggio giusto giusto al “buon senso” Manzoniano, quando ”c’era, ma stava nascosto per paura del senso comune”.
E, non pago di ciò, ulteriormente azzardo una provocazione nel considerare quanto gli uomini possono, in molti casi, apparire “transiti di cibo più che di conoscenza”, tirando per la giacchetta Leonardo Da Vinci.
Massimiliano Barbin Bertorelli
Leggi l’articolo originale: L’imposizione del nome. La “liturgia” dei legami familiari