GENOVA. 11 GIU. C’é un motto latino che, tradotto letteralmente, afferma: conosci l’argomento, le parole seguiranno. Il senso è immediatamente comprensibile: sapere le cose ne consente una fluente trattazione.
Ma i tempi mutano, con le esigenze. E quindi anche i proverbi ed i motti richiedono ri-adattamento ad altre e sopravvenute condizioni del mercato.
In buona sostanza, pare proprio che oggi l’improvvisazione abbia soppiantato la conoscenza. E tale improvvisazione, laddove pare emergere da una consuetudine oratoria spesso urlata e fumosa, viene affiancata da una trattazione intrisa non di rado di un “assoluto vuoto d’idee” (Michele Ainis – LaLettura del CorSera).
Nondimeno, continua sempre ad ammaliarci il relatore del momento quando si erge spavaldo a difensore etico delle nefandezze; quando si appella mediaticamente alla propria tetragona, annibalica volontà di conseguire l’interesse pubblico.
E ci prospetta, consapevolmente, un ennesimo appiglio alla “speranza”: virtù tradizionalmente collocata sempre “ultima”, sempre in fondo, come nel Vaso di Pandora.
In nome di una nozione minima di verità, giace, in questo preciso momento, una folla, udente e poco ga-udente, in attesa di plaudire a comando, di esprimere ovazioni in playback.
Una folla in attesa dei saldi di fine stagione, della sconfessione urlata, dello scoop, sempre a sacrificio della “verità” ed a beneficio di una sempre più esigente audience.
Non la fantasia al potere (magari), bensì disperata vanagloria, inessenziale ostensione mediatica, irrinunciabile notorietà.
Fino a che questa emergente “nozione minimale di verità” disveli “fini men che nobili” di quelli tanto a lungo proclamati.
Massimiliano Barbin Bertorelli
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